Dall’economia circolare a rifiuti zero. Un rapporto esalta i benefici economici e ambientali di questo percorso
Il rapporto “Waste End. Economia circolare, nuova frontiera del made in Italy”, un rapporto firmato da Symbola e Kinexia presenta i benefici di un progetto di economia circolare dei rifiuti per il nostro Paese.
Il rapporto[1] presenta alcune ipotesi di gestione innovativa e sostenibile dei rifiuti come una opportunità per rendere più competitivo il Made in Italy e spiega perché cambiare la gestione dei rifiuti può essere un volano per il rilancio dell’economia.
I numeri e gli obiettivi presentati da questo “percorso verso rifiuti zero” sono ambiziosi.
Si ritiene che con misure realizzabili in 5 anni l’Italia potrebbe ridurre di due terzi i rifiuti avviati in discarica (dal 38% al 12% del totale), raddoppiare la raccolta differenziata (dal 43% all’82%), aumentare il numero di impianti di compostaggio e di preparazione al riciclo e ridurre drasticamente discariche e inceneritori esistenti.
E inoltre puntare a tagliare il rifiuto urbano residuo indifferenziato ad un terzo (dal 57% al 18%).
Per farlo si ritiene necessario innanzitutto puntare sulla riduzione dei rifiuti e sul riuso di oggetti e materiali[2] e puntare su una fiscalità realmente eco (dall’introduzione della misurazione dei rifiuti e della tariffa puntuale alla cancellazione degli incentivi sul recupero energetico degli impianti di incenerimento).
Si ridurrebbero le risorse consumate, le emissioni di gas climalteranti, si aumenterebbe la materia prima seconda recuperata a beneficio dell’industria.
E si avrebbe un raddoppio della capacità industriale di preparazione al riciclo (da 12 milioni di tonnellate attuali a 24 milioni di tonnellate).
Si impennerebbe il recupero di materia: i processi industriali potrebbero passare dall’attuale 24% al 48,5% di materia prima secondaria derivante dai rifiuti, mentre il il recupero di frazione organica dei rifiuti per usi agronomici dall’attuale 13% potrebbe passare al 30%.
Calerebbe invece recupero per usi energetici (dal 19% attuale scenderebbe al 14%).
Il rapporto ritiene questi processi generatori di nuove imprese e nuova occupazione e fornisce qualche stima.
Nel ciclo di gestione dei rifiuti si avrebbero circa 22.000 occupati in più (+37%), per effetto di una forte crescita nei settori a più alta intensità di lavoro (soprattutto nella raccolta e preparazione al riciclo).
Nel settore del riutilizzo si genererebbero fino a 10.500 nuovi occupati.
Lo sviluppo del riciclo determinerebbe una crescita di 12.000 occupati rispetto alla situazione attuale.
Gli autori ipotizzano una crescita del valore della produzione nell’industria di preparazione da 1,6 miliardi attuali a 2,9 miliardi, ma che anche la manifattura riceverebbe una potente spinta dalla sistematica disponibilità di materia prima seconda.
Senza contare i benefit ambientali in termine di minor uso risorse e minori emissioni (fino a 19 milioni di tonnellate di CO2) e quelli economici per i cittadini (si prevede una riduzione di circa il 20% del costo di gestione dei rifiuti urbani).
Il principio è sempre quello dell’economia circolare, cui la Finestra sulla prevenzione dei rifiuti ha già dedicato una riflessione[3].
Anche in questo caso l’economia circolare è vista come un modello non più lineare, dalla materia al prodotto al suo smaltimento, ma pensato per potersi ‘rigenerare’.
Che parte dalla progettazione di un sistema più efficiente nell’uso di risorse: con l’utilizzo di fonti e risorse rinnovabili; con chi produce (e anche chi consuma) responsabile dell’intero ciclo di vita del prodotto; con una forte capacità di innovazione e un design di prodotto fatto per durare, per il disassemblaggio, il riciclaggio e il riutilizzo.
La riflessione si inserisce a mio avviso nel percorso di attuazione della strategia “rifiuti zero”.
Come spiega il presidente della Fondazione Symbola Ermete Realacci (che è anche presidente delle Commissione ambiente della Camera) “L’obiettivo “rifiuti zero” è una possibilità tecnologica in grado di dare forza e competitività alla nostra economia”.
E’ importante che anche sul terreno economico si ponga – come sottolinea Pietro Colucci, Presidente e Amministratore Delegato di Kinexia, la necessità di un “cambio di paradigma nella gestione dei rifiuti, che parta dal presupposto del ‘rifiuto come risorsa’, secondo un processo chiuso e non aperto, in linea con il concetto di economia circolare”.
Apprezzabile è che nel mondo industriale si faccia strada l’idea della “fine dei termovalorizzatori come soluzione primaria allo smaltimento e la decisa riduzione delle discariche, che saranno destinate ai soli scarti non recuperabili” e quella che “Il Paese ha bisogno di moderni centri del riciclo, dove entreranno scarti ed usciranno materiali e dove il rifiuto verrà messo a dimora solo se non più recuperabile”
[1] http://www.symbola.net/assets/files/Waste%20End_0312_1426168813.pdf
[2] Vengono fatti esempi quali l’incentivazione dei prodotti alla spina e lo scoraggiamento dei monouso, la spinta della sharing economy, la guerra all’obsolescenza programmata, realizzando il phasing out di prodotti come gli imballi alimentari non compostabili, promuovendo i centri di raccolta e re-design,
[3] http://www.rifiutilab.it/dettaglio_doc.asp?id=3381&menuindex=