Invertire la tendenza al consumo dissipativo: il caso della capsule di caffè
Un progetto pilota dell’Università di Napoli, di alcuni Comuni e dell’industria – promosso dal Centro di ricerche Rifiuti zero – per il recupero e la selezione delle capsule esauste di caffè finalizzati al loro riutilizzo.
Ci sono cose per la quali val la pena vivere in Italia.
Gustare una tazzina di caffè espresso è una di queste. Un piacere, un’immersione nel gusto.
Il breve, ma intenso, momento di beatitudine, di distacco dalle preoccupazioni, cantato da Pino Daniele in “a tazzulella ‘cafè”.
A qualcuno è sembrato necessario complicarlo, proponendo soluzioni che “creano problemi”.
Personalmente considero l’uso della capsula uno snaturamento della tradizione del caffè espresso. Riempire il contenitore con la miscela, stiparla dovutamente, reinserire il pezzo nella macchina, tirare le leve per distillare il liquido goccia a goccia. Tutto ciò fa parte di un rito. Una della cose che rendono un bar italiano diverso dai bar di altri paesi e ne qualificano la socialità.
Quello che Marino Niola[1] giudica un vero “articolo di fede” per un “piacere socialmente condiviso”.
A me l’uso della capsula per portare a tutti i costi il caffè espresso dal bar agli uffici e nelle case snatura questo rito, trasforma una relazione goduta (e “goduriosa”) in un fatto compulsivo.
Che, oltre a tutto, è una di quei gesti con i quali moltiplichiamo i rifiuti “quasi senza accorgercene”.
Ora almeno a questo qualcuno sta cercando di offrire un rimedio.
L’università (forse non a caso la Federico secondo di Napoli), con l’industria[2], alcuni “comuni virtuosi”, capeggiati da Capannori (LU), coordinati dal Centro di ricerche Rifiuti zero[3], hanno messo in piedi un progetto pilota per l’implementazione di modelli di recupero e selezione delle capsule esauste di caffè finalizzati al loro riutilizzo.
Si è svolta di recente a Capannori con la regia del Centro di ricerche Rifiuti zero una riunione, che ha fatto seguito ad altre svolte in precedenza a Torino e Milano.
Erano presenti Direttore e responsabile del settore caffè dell’Aiipa, alcune industrie del settore, esperti di di ingegneria e marketing dell’ imballaggio, l’università, il comune di Capannori e la sua azienda di servizio Ascit spa.
Il clima è stato di grande collaborazione ha fatto segnare un passo ulteriore verso il comune obiettivo di sottrarre dallo smaltimento le capsule del caffè ‘usa e getta’ puntando a garantire una riduzione dell’impatto ambientale attraverso la riciclabilità ed il recupero dei fondi del caffè.
Sono stati discussi i dettagli tecnici per dar corso al progetto pilota, con il coinvolgimento diretto del Comune di Capannori.
Un’iniziativa molto positiva, che riprende la tradizione napoletana del “caffèdiginocchio”, cosi’ chiamato perché nei bar della città i fondi degli espressi erano stipati in un cassetto posto all’altezza del ginocchio del barista, per essere poi seccati e riutilizzati, per poter offrire a tutte le tasche il piacere della “tazzulella ‘e cafè “ e trasformare lo spreco in socialità.
Il Centro di ricerche rifiuti zero ha voluto tracciare un percorso che può costituire un contributo innovativo per risolvere il problema specifico, ma anche per avviare ulteriori tentativi di collaborazione tra l’industria, enti pubblici e cittadini nel segno di una sempre maggiore responsabilità comune sui temi della sostenibilità ambientale.
[1] Nel suo “Non tutto fa brodo”, edito da il Mulino.
[2] L’Aiipa – Associazione Italiana Industrie Prodotti Alimentari